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Alle spalle hanno una commovente storia di persecuzioni, e oggi sono simboli di coraggio e resistenza: cosa sono gli sfratti di Pitigliano, i dolci resilienti della Piccola Gerusalemme italiana

Alle spalle hanno una commovente storia di persecuzioni, e oggi sono simboli di coraggio e resistenza: cosa sono gli sfratti di Pitigliano, i dolci resilienti della Piccola Gerusalemme italiana

È una visione che si svela all’improvviso, un borgo scolpito nel tufo e sospeso su un promontorio che pare fluttuare tra il verde e la pietra, dove il tempo si ferma e i sensi si risvegliano. Incastonata come un sogno tra le colline della Maremma toscana, Pitigliano è un piccolo e prezioso gioiello da scoprire tra sapori antichi e visioni da sogno. Qui, dove storia, natura e tradizione si intrecciano, nasce un dolcetto molto speciale che racconta non solo il sapore di una terra ma anche l’anima di una comunità che custodisce con orgoglio i suoi riti, le sue ricette e i suoi vini.

Un assaggio di meraviglia: il borgo scolpito nella roccia

Arrivare a Pitigliano è come entrare in una dimensione parallela. Le case sembrano crescere dalla roccia stessa, fuse al tufo che le sorregge e le abbraccia. Passeggiando tra i vicoli, lo sguardo si perde tra scorci improvvisi, archi medievali, cortili silenziosi e piccole botteghe che resistono al tempo. Ma è il cuore antico del borgo, il ghetto ebraico, a sorprendere con la sua delicatezza e profondità. Pitigliano, infatti, è conosciuta come la Piccola Gerusalemme, per la storica presenza della comunità ebraica che ha lasciato una traccia viva nella cultura locale, anche – e soprattutto – a tavola. In questa terra di confine, dove la Toscana si fa selvaggia e il Lazio sfuma all’orizzonte, la cucina è un racconto di identità. Una tradizione contadina e popolare, arricchita proprio da influssi ebraici e da una materia prima che parla la lingua dell’autenticità. La cucina ebraica qui ha attecchito e fiorito, e nei celebri sfratti di Pitigliano ha trovato la sua massima espressione.

Cosa sono gli sfratti di Pitigliano?

 

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A guardarli sembrano semplicemente dei dolci dalla forma allungata e ripieni di noci, miele e spezie, ma è solo andando indietro nel tempo che se ne coglie il senso più profondo. Nati per ricordare un’epoca di persecuzioni, oggi sono un simbolo di identità e convivenza.

Ci sono sapori che parlano più di mille libri, e dolci che conservano in sé il peso della storia. Il nome “sfratto” non è casuale. Deriva dal verbo “sfrattare”, e ha origine in un episodio cupo della storia locale. Intorno al XVII secolo, sotto il Granducato di Cosimo II de’ Medici, agli ebrei residenti nel territorio fu imposto di abbandonare le loro case e concentrarsi nel ghetto di Pitigliano. I messi granducali usavano dei bastoni per bussare alle porte e notificare gli ordini di sfratto. La comunità ebraica, con straordinaria forza d’animo e ironia, trasformò quel segno di violenza in un simbolo di resilienza: nacque così lo “sfratto”, un dolce dalla forma allungata che richiama il bastone, ma ne sovverte completamente il significato. Da allora, gli sfratti sono diventati il dolce identitario della comunità ebraica di Pitigliano, ma anche un emblema di convivenza: oggi fanno parte della tradizione condivisa del borgo, e sono apprezzati indistintamente da ebrei e cristiani, locali e viaggiatori. Tradizionalmente, gli sfratti si preparano in occasione delle festività ebraiche, in particolare durante Rosh Hashanah (il Capodanno ebraico) e Hanukkah, ma col tempo sono diventati protagonisti anche delle tavole natalizie maremmane, soprattutto nella zona di Pitigliano e Sovana. Oggi si trovano tutto l’anno nelle pasticcerie artigianali del borgo e nelle botteghe storiche. Nel 2004, gli sfratti di Pitigliano sono stati riconosciuti come prodotto agroalimentare tradizionale della Toscana (PAT), a conferma della loro importanza non solo gastronomica, ma anche culturale.

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